AVVISO (16 marzo 2020): Le iscrizioni al ricorso collettivo sono allo stato interrotte. Per informazioni, rivolgersi ai nostri Contatti
1. Perché i ricorsi?
Il nuovo D.P.C.M. del 14 gennaio 2021, che sarà efficace fino al 5 marzo 2021, continua a prevedere che anche in zona gialla tutte le attività di ristorazione possano essere aperte per il consumo in loco solo fino alle 18.00, mentre nella zona arancione e nella zona rossa sono consentite solo le attività di ristorazione da asporto e con consegna a domicilio.
La misura adottata è irragionevolmente pesante e, peraltro, sappiamo con certezza che si applicherà senz’altro fino al 5 marzo 2021. Per giunta, è diffusa l’idea – più che verosimile guardando a quanto accaduto lo scorso anno – che il ripristino di un orario normale di lavoro dovrà attendere i mesi caldi (almeno gli inizi di maggio), quando il virus COVID-19 indebolirà la sua contagiosità e i suoi effetti.
Bisogna perciò chiedersi se tutti i titolari di attività di ristorazione possano davvero sopportare cinque mesi di chiusura o semi-chiusura supportati esclusivamente dai modesti ristori governativi.
Ma soprattutto bisogna chiedersi se ciò è giusto e ragionevole, soprattutto se messo a confronto con tutte le altre attività che invece possono rimanere aperte e/o operative (scuole, trasporti pubblici, negozi, centri commerciali, ecc.). La risposta è evidentemente no!
Si può pensare a protocolli più rigidi, a meno posti a sedere e a tante altre soluzioni, ma cinque mesi di chiusura o di semi-chiusura sembrano essere davvero troppi!
La politica non ascolta, le manifestazioni pubbliche sono consentite solo in forme inefficaci e la recente protesta dei ristoratori (“Io resto aperto”) non ha affatto prodotto gli esiti sperati.
Quindi, cosa resta?
L’unico strumento che residua per gli operatori del settore è il Tribunale e sperare in Giudici ragionevoli che abbiano la forza e il coraggio per comprendere quello che sta accadendo e l’irreparabile danno che la categoria sta per subire.
2. Davanti a quali giurisdizioni si proporrà ricorso?
L’idea è quella di aggredire i D.P.C.M. e le Ordinanze del Ministro della Salute non solo davanti ai T.A.R. per chiederne l’annullamento (e prima ancora la sospensione), in modo da riprendere subito a lavorare, ma anche dinanzi ai Tribunali civili, affinché il Governo cominci a temere che la “pioggia” di richieste di risarcimento del danno per provvedimenti illegittimi possa destabilizzare il bilancio dello Stato. Solo così potranno ottenersi risultati, ma l’adesione deve essere ampia e portare a cause che pendano dinanzi a decine di Tribunali in Italia, affinché prima o poi qualche coraggioso Giudice (come quello del Tribunale di Roma, di cui si dirà sotto) possano aprire la strada al riconoscimento del diritto a lavorare – va da sé – in condizioni di sicurezza.
3. Cosa si chiede ai T.A.R. competenti per territorio?
Per poter adire tutti (o quasi) i T.A.R. italiani, al fine di massimizzare le possibilità di riuscita, occorrerà fare riferimento alle misure vigenti per ogni Regione.
Tutti i ristoratori che si trovino nelle Regioni “gialle” dovranno necessariamente rivolgersi al T.A.R. Lazio, perché la misura è unica su base nazionale.
I ristoratori che si trovino nelle Regioni “arancioni” e “rosse” – e sono molte attualmente – potranno invece agire dinanzi al proprio T.A.R. regionale, in quanto è sì vero che la misura è stabilita da un’autorità centrale (il Ministro della Salute), ma ha efficacia territoriale circoscritta alla Regione (art. 13, comma 1, seconda parte, codice del processo amministrativo: “Il tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede”).
Se in tutte le Regioni si avranno adesioni – allo stato attuale – penderanno almeno 17 azioni dinanzi ai T.A.R. (i ristoratori delle cinque Regioni/Province autonome gialle andranno al T.A.R. Lazio e gli altri andranno dinanzi ai rispettivi 16 T.A.R., che potrebbero anche essere di più, visto che in alcune Regioni c’è più di un T.A.R.).
Questa ampia diversificazione accrescerà in modo significativo le possibilità di successo e sensibilizzerà il Governo a riflettere sulla necessità di arginare un così ampio contenzioso, da cui potrebbero derivare significative azioni di risarcimento del danno.
Ai T.A.R. si chiederà anzitutto la sospensione immediata (con pronunce che arriveranno nei giorni o nelle settimane immediatamente successive al deposito del ricorso) dei provvedimenti emergenziali e poi, ovviamente, l’annullamento (che arriverà successivamente).
I ricorsi si fonderanno non solo sull’irragionevolezza delle previsioni emergenziali, ma anche sulla palese violazione che i D.P.C.M. comportano dei diritti di libertà (fra cui quella economica) previsti in Costituzione, che possono essere intaccati solo per legge e non con l’atto di un sol uomo.
In questo senso, sembra utile segnalare il nostro ricorso già pendente e nel quale il T.A.R. Lazio, non solo non ha rigettato l’istanza di sospensiva, ma anzi, con ordinanza, ha preso atto della prolungata violazione dei diritti di libertà e ha rinviato al mese di luglio per decidere delle questioni di legittimità costituzionale proposte. Nel caso dei ristoratori, tuttavia, si può immaginare che un rinvio di questo genere (pur breve per i tempi dei Tribunali) verrebbe difficilmente disposto, in quanto vi sono in ballo questioni attinenti alle impellenze economiche dei titolari, che per mesi rimarrebbero senza risorse a causa delle chiusure.
4. Cosa si chiede ai Tribunali civili competenti per territorio?
Nel caso dei ricorsi dinanzi ai Giudici civili, non si avrebbe alcuna competenza centralizzata del Tribunale di Roma. Ogni gruppo di imprenditori dovrebbe agire dinanzi al Tribunale competente per territorio, che avrebbe comunque base regionale (in quanto si tratterebbe del Foro in cui ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che per ogni Regione/Provincia autonoma è uno solo o al massimo due per Puglia, Lombardia, Calabria e Campania e quattro per la Sicilia).
Potrebbero quindi pendere fino a 28 azioni civili, che, unite alle potenziali azioni dinanzi ai T.A.R., potrebbero arrivare a 45 azioni complessive, di cui il Governo non potrà non tener conto.
Queste azioni civili prendono le mosse da quanto statuito in una recente e famosa ordinanza dal Tribunale di Roma, in cui il Giudice ha accertato l’illegittimità dei D.P.C.M. e ha però dovuto rigettare la domanda del ricorrente, in quanto ha ritenuto che la fonte dei disagi economici di questi non fosse la pandemia in sé, bensì i provvedimenti amministrativi (illegittimi) emanati dal Governo, che però non sono mai stati impugnati dal ricorrente stesso. Ecco perché impugnare è fondamentale per poter ambire a un risarcimento del danno.
Quest’ultimo sarà conteggiato sulla base del fatturato: sottraendo al fatturato mensile medio del 2019 il fatturato dei mesi di chiusure (e i ristori ricevuti) e chiedendo quindi la differenza, al fine di ottenere un reale ristoro della perdita economica subita.
5. Come si organizza e quanto costa il ricorso?
5.1. Per organizzare le azioni, potete contattare il sottoscritto, avendo eventualmente già costituito delle liste di colleghi (su base regionale) che vogliano partecipare e a cui saranno inviate tutte le informazioni operative per avviare l’azione. Ogni azione (amministrativa o civile) partirà con un minimo di 20 adesioni. Non è obbligatorio aderire sia all’azione amministrativa che a quella civile, ma si può decidere sulla base del proprio interesse.
5.2. Nel caso delle azioni dinanzi ai T.A.R., bisogna anzitutto considerare che, in caso di accoglimento della sospensiva, la riapertura riguarderebbe solo coloro che hanno proposto il ricorso, pertanto è importante che tutti gli interessati partecipino alle azioni.
Il costo omnicomprensivo di partecipazione al ricorso T.A.R. è pari a euro 150,00 per ricorrente e include tutte le voci di spesa (spese di iscrizione al ruolo, onorario, cassa di previdenza e I.V.A.). Null’altro è dovuto a saldo o per qualunque altra ragione o voce di spesa.
Per avere rassicurazioni su questa somma fissa, vi sarà sufficiente stampare la presente scheda, che vale a tutti gli effetti di legge come proposta contrattuale e che è quindi vincolante.
Se, oltre a risultare vittorioso il ricorso, il TAR condannerà altresì lo Stato al pagamento delle spese di giudizio, sarà il sottoscritto ad avere diritto a ricevere tale somma, ma la dovrà richiedere all’Amministrazione e non ai ricorrenti, sempre nell’ottica che il vostro impegno economico si esaurisce nella sola somma di euro 150,00.
5.3. Nel caso delle azioni dinanzi ai Tribunali civili, occorre pure ricordare che l’eventuale accertamento del diritto a tenere aperta la propria attività riguarderà solo i ricorrenti e, allo stesso modo, solo costoro avranno diritto a richiedere il risarcimento del danno.
Il costo omnicomprensivo di partecipazione al ricorso dinanzi ai tribunali civili è pari a euro 300,00 per ricorrente. La maggior somma è dovuta al fatto che la contestuale richiesta di risarcimento del danno determinerà senz’altro un cospicuo carico di spese processuali. Ad esempio, laddove la sommatoria di richieste di risarcimento del danno formulate dai 20 aderenti (che sono il numero minimo) arrivasse a superare l’importo di euro 520.000, il solo contributo unificato di iscrizione a ruolo avrebbe un costo di euro 1.686,00.
A parte la differente misura della quota di partecipazione (fissata in modo assolutamente invariabile in euro 300,00), le altre condizioni economiche e contrattuali di adesione per ricorsi ai Tribunali civili sono le medesime sopra illustrate per i ricorsi al T.A.R.
5.4. Rispetto alle azioni che si andranno a proporre non si ritiene che vi possano essere rischi di condanna alle spese in caso di soccombenza anzitutto in ragione della novità delle questioni trattate (mai affrontate finora dai Tribunali), che è uno dei motivi per cui i Tribunali omettono di adottare dispositivi “punitivi” nei confronti dei ricorrenti, che per giunta nel caso di specie sono imprenditori che stanno solo tentando di reagire alla pandemia cercando di riaprire e nei confronti dei quali è ragionevole ritenere che nessun Giudice avrebbe mai un atteggiamento del genere.
Avv. Paolo Colasante