In attesa della decisione del TAR Lazio sulla legittimità costituzionale dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella gestione dell’emergenza

 

L’Avv. Paolo Colasante, nell’interesse di un comune cittadino ha proposto ricorso avverso il D.P.C.M. del 3 novembre 2020 (e insisterà con successive impugnazioni dei prossimi atti analoghi), per richiedere che l’incisione dei diritti di libertà dei cittadini avvenga nelle forme stabilite dalla Costituzione, la quale riserva l’adozione di tali misure solo alla legge a agli atti aventi forza di legge e, perciò, tende ad assicurare un coinvolgimento parlamentare, ad oggi quasi del tutto assente

Affinché sia chiaro lo spirito che anima questo ricorso, è bene svolgere una dovuta premessa, e cioè che l’impugnativa non intende assumere una veste gratuitamente polemica o addirittura riduzionista o negazionista rispetto all’emergenza in corso e alle risposte che le istituzioni italiane hanno fornito all’inedita situazione che ci ha colpito. Infatti, è ampiamente noto che la situazione che ci troviamo a fronteggiare, dapprima con l’ondata iniziale di marzo-maggio 2020 e ora con la seconda ondata che ha avuto inizio nell’ottobre 2020, è della massima gravità e richiede un grande senso di responsabilità, di senso civico e di collaborazione istituzionale. Sentimenti civici, questi, che devono perciò tenere lontano ogni spinta meramente demolitoria o di becera opposizione (civica o politica) rispetto alla gestione dell’emergenza.

Nondimeno, è innegabile che per la prima volta l’ordinamento repubblicano scaturito dalla Costituzione del 1948 si trova a dover verificare la propria tenuta, istituzionale e democratica, dinanzi a un evento di epocale eccezionalità.

La storia dell’Italia repubblicana è stata costellata di altre situazioni eccezionali di notevole gravità (terremoti, alluvioni, terrorismo, ecc.), ma mai prima era accaduto che le vite di tutti i cittadini fossero così sconvolte in modo tanto profondo nel quotidiano, nelle abitudini, nelle attività lavorative ed educative e nella vita sociale e familiare. Mai prima era accaduto che vi fosse una così profonda, diffusa e perdurante incisione dei diritti di libertà dei cittadini dell’intero Paese e – sia consentito osservare – dovremo forse prepararci a sopportare ancora questo sconvolgimento delle nostre esistenze, almeno fintantoché la scienza medica non fornirà strumenti efficaci per temperare o annullare gli effetti dirompenti del virus COVID-19 sulla salute dei cittadini e, in particolare, di coloro che appartengono alle categorie più fragili, nonché sul sistema sanitario nazionale, che, nei momenti più critici, rischia di collassare, costringendo le istituzioni a comprimere la mobilità dei cittadini per tentare di diminuire i contagi e alleviare il sovraccarico sulle strutture ospedaliere.

Che la reazione più logica e naturale a una pandemia sia la compressione di alcuni diritti di libertà al fine di limitare i contagi è una conclusione fin troppo agevole a cui pervenire. Più complesso è però definire come un ordinamento democratico dotato di una Costituzione rigida, contenente un’ampia disciplina dei diritti di libertà, debba gestire una siffatta emergenza, senza porre nel nulla – persino durante lo stato di emergenza – il contenuto essenziale dei diritti di libertà e l’assetto democratico dello Stato.

La questione appena posta merita di essere portata all’attenzione delle giurisdizioni competenti dello Stato, dal momento che gli strumenti giuridici utilizzati per la gestione dell’emergenza – in primis, i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri – non hanno caratterizzato solo la prima ondata epidemiologica della primavera 2020, quando l’ordinamento giuridico era del tutto impreparato alla situazione che si è presentata in quei mesi, bensì sono ormai divenuti strumenti “strutturali” della gestione di uno stato di cose che, lungi dall’essere una mera congiuntura temporalmente circoscritta, si sta rivelando essere ormai una “convivenza” sine die con un nuovo agente virale, atteso che, allo stato, non vi sono certezze sull’efficacia e sul momento di disponibilità di un vaccino o di una cura.

Pertanto, il perdurare (a tempo ancora indefinito) dello stato di emergenza pone all’attenzione della scienza giuridica un quesito fondamentale, e cioè se il ricorso agli strumenti emergenziali possa perdurare sino a che la scienza medica non troverà un rimedio efficace o se – come sembra preferibile e, anzi, dovuto – il perdurare dello stato di emergenza e la “forzata convivenza” col virus COVID-19 non debbano suggerire il ripristino dell’ordine costituzionale nel contesto di una nuova, seppur eccezionale, “normalità”.

D’altronde, la deroga al normale sistema delle fonti del diritto dello Stato mediante il ricorso alle ordinanze contingibili e urgenti (fra cui i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) non può essere ammissibile sine die o, a tutto voler concedere, sotto “condizione risolutiva” della scoperta del rimedio medico al virus COVID-19, atteso che altro è lo scoppio di una pandemia temporalmente e spazialmente circoscritta, per la quale l’ordinamento può tollerare la momentanea “cedevolezza” delle fonti di rango primario per il tramite delle ordinanze di necessità e urgenza; altro è ciò che stiamo vivendo, e cioè la perdurante convivenza con un nuovo agente virale, nella quale lo Stato deve rispettare l’ordine costituito e il sistema delle fonti del diritto. Diversamente opinando, le “fonti dell’emergenza” diventerebbero le “fonti di ordinaria amministrazione” di una situazione, nata come emergenziale e inaspettata, ma ormai divenuta una “nuova normalità”.

Appare quindi chiaro che laddove nessun Tribunale vorrà nutrire alcun dubbio sulla super-fetazione di atti emergenziali privi di copertura parlamentare attualmente in essere, i cittadini italiani dovranno rassegnarsi all’idea che un susseguirsi di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (e di altre ordinanze di necessità e urgenza) potrà continuare a disporre dei propri diritti di libertà, senza che le istituzioni parlamentari possano in alcun modo pronunciarsi sulla compressione di tali diritti, gettando peraltro le basi per un pericoloso precedente.

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